venerdì 14 febbraio 2014

Naufrago

Rideva.
In modo isterico rideva di se stesso.
La stanza era in penombra.
La solita luce accesa sulla scrivania.
La sua immagine si rifletteva nel rosso che si era versato.
Sarà stato il secondo o terzo bicchiere.
Non lo ricordava, non gli importava.
Cominciò a scrivere
“Affido alle parole questo mio sentire.
Sì oso alimentare il mio cuore di te.
Mi parli, ma non ti accorgi di me.
Mi racconti di te, del tuo amore, della tua giornata ma io non ci sono.
Sorridi alle mie battute e ai miei racconti, ma tu non sei  con me.
Affogo nel mare dei tuoi occhi, e non so come salvarmi.
Come si fa a straziare un cuore?  Ricordandogli che c’è l’assenza di tutto senza di te.
Col naso per aria, cerco ancora di inalare il tuo respiro che mi hai regalato con un ‘ciao’.
Devasto la mia irrazionalità con il pensiero di un mondo che non ci sarà mai.
Cerco di annullare tutto: azzero ogni piccola percezione di te sulla pelle.
Mi guardi, ma io non sono nel tuo sguardo.
Ma resta ancora qualcosa di te
Mi si riversa nelle vene: vorrei strapparmele per non sentirti ancora scorrere.
Gioco con me stesso, a schernirmi e a nascondermi.
Non potrei far altro.
Mi è bastato poco per capire quanto non avrò: e quanto lo desideri ardentemente.
Io non sono con te, non sono nei tuoi pensieri.
No, io non ci sono.
Sono qui in questa stanza, come un’edera bellissima che adorna un castello.
Abbracciata a quei muri.
Esposta alle intemperie, che ti protegge.
Colorata, che dà calore.
Sola a guardare il cielo e nel castello l’aria è pervarsa di amore.”
Rilesse quelle parole.
Le trovò pesanti ma lo facevano sentire leggero.
Trovò qualcosa di sé di cui voleva liberarsi.

Si accorse che era diventato un naufrago.

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