Rideva.
In modo isterico rideva di se stesso.
La stanza era in penombra.
La solita luce accesa sulla scrivania.
La sua immagine si rifletteva nel rosso che si era versato.
Sarà stato il secondo o terzo bicchiere.
Non lo ricordava, non gli importava.
Cominciò a scrivere
“Affido alle parole questo mio sentire.
Sì oso alimentare il mio cuore di te.
Mi parli, ma non ti accorgi di me.
Mi racconti di te, del tuo amore, della tua giornata ma io
non ci sono.
Sorridi alle mie battute e ai miei racconti, ma tu non
sei con me.
Affogo nel mare dei tuoi occhi, e non so come salvarmi.
Come si fa a straziare un cuore? Ricordandogli che c’è l’assenza di tutto
senza di te.
Col naso per aria, cerco ancora di inalare il tuo respiro
che mi hai regalato con un ‘ciao’.
Devasto la mia irrazionalità con il pensiero di un mondo che
non ci sarà mai.
Cerco di annullare tutto: azzero ogni piccola percezione di
te sulla pelle.
Mi guardi, ma io non sono nel tuo sguardo.
Ma resta ancora qualcosa di te
Mi si riversa nelle vene: vorrei strapparmele per non
sentirti ancora scorrere.
Gioco con me stesso, a schernirmi e a nascondermi.
Non potrei far altro.
Mi è bastato poco per capire quanto non avrò: e quanto lo
desideri ardentemente.
Io non sono con te, non sono nei tuoi pensieri.
No, io non ci sono.
Sono qui in questa stanza, come un’edera bellissima che
adorna un castello.
Abbracciata a quei muri.
Esposta alle intemperie, che ti protegge.
Colorata, che dà calore.
Sola a guardare il cielo e nel castello l’aria è pervarsa di
amore.”
Rilesse quelle parole.
Le trovò pesanti ma lo facevano sentire leggero.
Trovò qualcosa di sé di cui voleva liberarsi.
Si accorse che era diventato un naufrago.